Rabbini

21 Tammuz 5784

Binyamìn ben Avrahàm min Ha-‘Anawìm (Almansi, o Delli Mansi)

Rabbì Binyamìn ben Avrahàm min Ha-‘Anawìm (Almansi, o Delli Mansi). Romano, visse nel 13° secolo. Era discendente di una delle più famose famiglie ebraiche romane, di quelle che avevano (ed hanno) la tradizione di discendere direttamente dai prigionieri portati a Roma da Gerusalemme da Tito. Anche suo padre era un grande studioso, ed anche suo fratello Tzidqiyà, autore dello “Shibbolè Ha-Léqet”. Poco è noto dei suoi primi anni di vita e di studi. Si sa che fra i suoi maestri c’erano Rabbì Me’ìr Almansi (suo parente), Rabbì Itzchàq Camerino ed un altro suo parente, Rabbì Shelomò ben Shabbethày. Fu in corrispondenza con Rabbì Avigdòr Cohen.

Fu un’indiscussa autorità in campo halakhico, aggadico e poetico, ed anche il campo scientifico non gli era estraneo, in particolare la filosofia, la matematica e l’ingegneria. Fra le sue opere si annoverano: “Séfer Yedidùt”, un testo halakhico di cui non è rimasta alcuna copia; un testo sulle regole della Shechità, ricopiato in diversi manoscritti; “Sod Ha-‘ibbùr” o “Séder Ha-‘ibbùr”, sulle basi del calendario ebraico. Ha scritto anche delle glosse al commento di Rashì sulla Torah e sul commento del suo parente e contemporaneo Rabbì Shelomò ben Shabbethày alle “She’iltòt” di Rav Achà’i Gaòn”.

Ha anche composto un sunto del libro “Yere’ìm” di Rabbì Eli‘ézer da Metz. Le attuali edizioni di questo libro sono tutte sulla base della versione data da Rabbì Binyamìn. Anche suo fratello cita alcune sue opinioni nello “Shibbolè Ha-Léqet”. Sono note anche alcune sue spiegazioni alla Haggadà e ad alcune parti della Tefillà, spiegazioni che denotano conoscenze linguistiche in latino, greco, italiano ed arabo.

Diversi suoi Piyutìm sono conservati nel rito italiano, fra i quali alcune Selichòt con riferimenti storici, quali le controversie antitalmudiche di Nicola Donin (1239), l’imposizione del segno giallo (1257), il rogo del Talmùd del 1244 e la profanazione dei Sefarìm a Roma e delle tombe ebraiche dell’Aventino. Sua opera è anche il libretto poetico “Massà’ Ghe’ Chizzayòn”, pubblicato a Riva di Trento nel 1560, incentrato sulla certezza dell’esistenza e dell’immanenza divina

«

»