Rabbini

21 Tammuz 5784

Moshè Zacuto (Ramaz o Remez)

Rabbì Moshè Zacuto (Ramaz o Remez), nasce ad Amsterdam nel 1625, fu uno dei maggiori kabbalisti italiani. Allievo di Rav Shaul Levi Morterra e compagno di studi di Barukh Spinoza, si spostò in Polonia ed in Russia per studiarvi la Kabbalà. Decise poi di andare a vivere in terra d’Israele, ma si trattenne a Venezia, dove accettò di diventare il Rabbino Capo della città, dove rimase per ben ventott’anni, fino al 1673. Si trasferì poi a Mantova, dove rimase per gli ultimi ventiquattro anni della sua vita. Vi morì infatti il secondo giorno di Sukkòth del 1697.

A Venezia aveva fondato un’importante Yeshivà in cui si studiava principalmente Kabbalà; questa attirò studenti e studiosi da tutte le parti d’Italia ed anche da altri Paesi. Si sosteneva che egli avesse ricevuto la visita del profeta Elia e che aveva uno spirito celeste che gli dettava i sacri misteri; per rendersene meritevole, si sostenne, egli aveva digiunato quaranta giorni per dimenticare il latino e le scienze che aveva appreso da giovane. Fra i suoi allievi, che lo seguirono anche a Mantova, possiamo annoverare Rabbì Binyamìn Coen Vitale (poi Rabbino di Reggio Emilia), Rabbì Avraham Rovigo e Rabbì Yosef Richetti.

Dei suoi molti libri videro la stampa: “Shudà’ De-Dayyanè” (Mantova 1678, sulle regole relative a cause pecuniarie), “”Qol ha-Re.Ma.Z.” (Amsterdam 1719, un commento alla Mishnà”, “Sh.U-T. ha-Re.Ma.Z.” (Venezia 1761, responsi), “Iggheròt ha-Re.Ma.Z.” (Livorno 1780, un epistolario contenente trentasette lettere di argomento cabbalistico rivolte ai suoi amici ed ai suoi allievi). Alcuni suoi piyutìm sono stati accolti nei testi liturgici delle Comunità orientali. Fu stampato anche (Venezia 1644) il suo “Toftè ‘Arùkh”, una descrizione poetica dell’inferno con chiari riferimenti danteschi, e “Yesòd ‘Olàm” (Berlino 1874), una descrizione poetica delle vite dei Patriarchi.

Restano ancora non pubblicati un commento al Talmùd Yerushalmì, i suoi discorsi ed altre lettere di argomento cabbalistico. A Venezia si occupò anche dell’edizione dello Zòhar, accompagnato da sue glosse.

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