Rabbini

9 Adar II 5784

Yehudà Abrabanèl

Don Yehudà Abrabanèl, benché nato a Lisbona (tra il 1460 ed il 1470), può essere definito italiano per il tipo di cultura ricevuta e perché la maggior parte della sua attività si svolse su territorio italiano. Era medico e filosofo, figlio primogenito di Don Itzchàk Abrabanèl, il famoso politico e commentatore della Bibbia, di cui seguì in buona parte i destini. Lo seguì in Castiglia ed a Napoli, ove giunse fiaccato nel corpo e nello spirito: il re Ferdinando, per convincerlo a rimanere in Spagna ed a convertirsi al Cristianesimo, fece rapire il suo figlio primogenito, chiamato Itzchàk come il nonno, e lo fece battezzare a forza. Il secondogenito Shemu’èl, nato in Italia, morì in tenera età. Quando suo padre si trasferì a Corfù per sfuggire alle frequenti guerre, Don Yehudà scelse invece di recarsi a Genova, ma appena suo padre tornò in Italia e si stabilì a Monopoli (dove si dedicò al commento alla Bibbia), lo raggiunse immediatamente. Probabilmente fu a Monopoli che Don Yehudà cominciò a comporre il suo “Dialogo sull’amore”. L’avvicinarsi di schiere in armi fece sì che nuovamente dovessero spostarsi, inizialmente a Barletta e poi (nel 1503) a Venezia; ma già l’anno successivo Don Yehudà fu richiamato nel regno di Napoli come medico del viceré Consalvo di Cordova. Da questo momento si perdono le sue tracce, e poco o niente si sa della sua vita e delle sue opere successive.

Benché nei primi tempi si sia sempre occupato principalmente di attività bancaria e di medicina, Don Yehudà fu fondamentalmente un filosofo, e come tale era molto conosciuto. Rabbì Sha’ùl Cohen da Candia, rivolgendo un quesito di ordine filosofico al Don Itzchàk Abrabanel, lo pregò anche di informarsi su che cosa ne pensasse su figlio Don Yehudà.

La filosofia di Don Yehudà riecheggia il pensiero ebraico spagnolo classico, ma si sente anche traccia del nuovo spirito rinascimentale e del suo neoplatonismo, di cui Don Yehudà è il maggiore esponente. Tutto ciò, insieme ad una profondissima spiritualità ebraica, traspare dalla sua opera in italiano “Dialogo sull’amore”, opera che godette di ampia fama, sì da consumarne cinque edizioni nell’arco di vent’anni, e che fu tradotta due volte n francese, tre in spagnolo ed una in latino. L’unica traduzione ebraica fu pubblicata molto più tardi (nel 1871) dalla società “Mekitzè Nirdamìm”. L’opera fu anche ampiamente citata da altri autori, quali Rabbì Shelomò Levi di Salonicco, Rabbì Yehudà Moscato, Rabbì ‘Azaryà De Rossi, Rabbì Yosèf Shelomò Delmedigo, Rabbì ‘Immanu’èl Aboaf, Rabbì Menashè ben Israel e Rabbì Yosèf Barùkh ben Rabbì Yedidyà Zekharyà D’Urbino.

È ignota la data di morte di Don Yehudà, ma si sa che quando apparve la prima edizione del “Dialogo (1535), non era più in vita.

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