Rabbini

21 Tammuz 5784

Davìd De Pomis

Rabbì Davìd De Pomis, Rabbino, linguista, medico e filosofo. Nacque a Spoleto nel 1515. La sua famiglia aveva la tradizione di essere una di quelle famiglie gerosolimitane deportate da Tito in Italia nel 70 E.V. A seguito dell’invasione dell’Italia per opera dell’imperatore di Germania, la sua famiglia si spostò di qua e di là. Il giovane Davìd studiò quindi soprattutto con suo padre, che era un valido studioso. Nel 1532 si stabilirono a Todi, dove il giovane Davìd poté studiare le basi della medicina e della filosofia presso suo zio Yechi’èl Alatino. Nel 1545 si trasferì a Perugia, dove per sei anni studiò medicina e filosofia all’Università locale, fino alla laurea in medicina nel 1552, quando si trasferì a Magliano, alle porte di Roma, dove esercitò come Rabbino e come medico. Purtroppo nel 1555 il bando da parte di Paolo IV di tutti gli Ebrei dai territori della Chiesa (con l’esclusione di Roma ed Ancona) colpì anche lui, e nuovamente si trovò a vagare da un posto all’altro, esercitando la medicina nelle varie corti nobiliari, finché trovò rifugio a Venezia, ove stampò alcune delle sue opere.

La sua opera principale è il “Tzémach Davìd” (Venezia 1567), un vocabolario ebraico ed aramaico con traduzione dei lemmi in latino ed in italiano, basato sullo ‘Arùkh di Rabbì Nathàn da Roma, di cui possedeva il manoscritto autografo dell’autore, sul “Shorashìm” di Rabbì Davìd Qìmchi, e sul “Methurghemàn” e sul “Tishbì” di Rabbì Eliyàhu Bachùr.

Di particolare importanza è la sua opera in latino “De Medico Hebraeo Enarratio Apologica”, nella quale combatte a favore dei diritti degli Ebrei in genere, e specialmente dei medici ebrei, spesso accusati – senza alcun fondamento – di sfruttare l’arte medica per secondi fini.

Altre opere furono da lui scritte in italiano ed in latino, fra le quali una versione italiana del Qohélet. Nel suo “Tzémach Davìd” cita fra le sue opere anche un “Sukkàt Davìd” ed un “Migdàl ‘oz”, che non ci sono pervenuti.

Morì nel 1593.

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